Dittatura Enver Hoxha, Storia dell'Albania, il comunismo.
Dittatura Enver Hoxha, Storia dell'Albania, il comunismo.

L’Albania di Enver, la storia che nessuno ci ha raccontato

A chi non conosce niente dell’Albania e desidera sapere qualcosa di più su questo bellissimo paese, consiglio di partire da qui, dal comunismo e dalla dittatura di Enver Hoxha.

Anche io non ne sapevo nulla. Quando ho visitato l’Albania per la prima volta ho ascoltato, incredula, i racconti del comunismo e non riuscivo – non riesco tutt’ora – a capire come sia potuto succedere che, mentre tutto il resto dell’Europa usciva dalla guerra ed entrava nel benessere, in Albania il tempo si fermava e l’intera nazione veniva oscurata e tolta dagli sguardi esterni.

Ripenso ai lunghi anni scolastici, alle lezioni di storia delle elementari, delle medie e delle superiori; sempre le stesse date, gli stessi avvenimenti, le stesse nozioni. Su nessun libro di storia ho mai letto qualcosa che parlasse di quello che stava accadendo in Albania dal dopoguerra, non ho mai visto nessun film che trattava l’argomento e nessuno mi ha mai detto niente di quello che stavano vivendo uomini, donne, bambini e giovani adolescenti come me, al di là del nostro mare.

Com’è stato possibile?

La domanda ovviamente è retorica perché è chiaro che è stato possibile poichè qualcuno l’ha reso possibile, ma oggi, a distanza di più di 30 anni, possiamo guardare quel periodo, possiamo colmare il buco di conoscenza, possiamo comprendere.

Tutto quello che accade ha delle conseguenze e le conseguenze del comunismo le abbiamo viste negli anni ’90, quando è arrivata la prima nave, la Vlora, al porto di Bari e poi tutte le altre negli anni successivi. Soprattutto qui dove sono nata, nel nord Italia, nessuno credo avesse mai visto un albanese prima d’allora e, come accade quando arriva qualcosa di sconosciuto e diverso, è scattata la paura collettiva, ma questa è una parte di storia che conosciamo tutti.

 

La possibilità di una Nuova Era

La storia che conoscono in pochi inizia durante l’occupazione italiana degli anni ’40, quando Mussolini stava tentando la colonizzazione dell’Albania. Fu in quel periodo che nacque il Movimento di Liberazione Nazionale con il relativo esercito formato da partigiani e partigiane di nazionalità albanese e italiana. Guidato dal neonato Partito Comunista, il Fronte di Liberazione Nazionale sconfisse le armate tedesche e tutto quello che restava del fascismo e del nazismo cessò di esistere a favore del primo governo democratico proclamato il 28 novembre 1944 (anniversario dell’inidipendenza nazionale, festeggiato ancora oggi).

A capo di questo nuovo governo il Partito Comunista, il cui leader, Enver Hoxha, si era fatto lentamente strada affermando con fermezza la sua ideologia stalinista. Nato a Gjirokastro e con alle spalle studi all’estero, Hoxha seguì fin da subito il modello politico sovietico che aveva approfonditamente studiato durante un prolungato soggiorno in Russia.

L’ideale: un paese nuovo, socialista e indipendente. La realtà: una feroce dittatura

Una volta al potere Hoxha attuò delle riforme che riguardarono la costituzione di un sistema sociale di tipo stalinista, quindi abolì la proprietà privata, nazionalizzò le industrie, effettuò la riforma agraria e si occupò dell’istruzione e della sanità, il tutto per far sì che l’Albania si avviasse ad essere una nazione socialista indipendente in grado di produrre a sufficienza per ridurre al minimo le importazioni di materie prime.

Parallelamente diede inizio anche ad un meccanismo di repressione forzata che divenne sempre più violento e truce nei confronti di ogni libertà di espressione e di pensiero.

Vietò il culto religioso, di qualsiasi forma o credo; professare una religione, possedere libri o oggetti religiosi, persino chiamare i propri figli con un nome religioso era reato pena la reclusione fino a 10 anni. Confiscò chiese, cattedrali, moschee e sinagoghe che trasformò in musei, uffici statali o che fece abbattere. Dopo anni di lotta contro il culto che costò la libertà e la vita a molte persone, dichiarò che l’Albania era il primo e unico paese completamente ateo a favore di una visione scientifico-materialista del mondo.

Tutti dovevano appoggiare il regime, contribuire attivamente e positivamente allo sviluppo della nazione, anche se di sviluppo se ne vedeva ben poco. Il popolo era povero, malnutrito, spaventato e non poteva esprimere i propri pensieri in nessun modo. Il cibo era razionato, le feste religiose soppresse e sostituite con festività nazionali prive di fondamenti religiosi, tutti erano iscritti al partito e ne dovevano elodere le gesta, a scuola gli insegnanti facevano propaganda spiegando ai bambini quanto fossero fortunati a vivere in un paese così ricco e forte come l’Albania.

Arte, musica, letteratura, spettacolo erano controllati e pilotati dal regime, tutte le forme di comunicazione erano manipolate per far vedere una facciata prospera, potente e ricca del paese e per mettere in cattiva luce il mondo occidentale.

Elena Pagani infoalbania, bunk'art 2 mostro della dittatura
L’occidente, il nemico numero uno

Hoxha aveva una vera e propria ossessione dell’occidente che considerava il nemico numero uno e che tentava di allontanare e screditare con tutti i mezzi possibili. Durante quegli anni si poteva guardare solo ed esclusivamente la televisione di stato che trasmetteva programmi di propaganda politica e sociale a favore del regime. I televisori dell’epoca infatti avevano un pulsante solo.

Ma ben presto il popolo scoprì che girando l’antenna in un determinato modo, poteva prendere le emittenti televisive italiane, la Rai in primis e i canali Mediaset in un secondo tempo. È per questo che tutti gli albanesi che hanno più di 30 anni parlano italiano; l’hanno imparato con i nostri programmi televisivi: Sanremo, Domenica in, i quiz di Mike Bongiorno e i sabato sera con Celentano e la Carrà.

Ovviamente girare l’antenna verso l’Italia era un’operazione vietata che si faceva con l’accordo dei vicini di casa, in modo da essere certi che nessuno avrebbe fatto la spia. Un fatto del genere, se scoperto dalla polizia o dal partito, poteva condurre un’intera famiglia in prigione o nei campi di lavoro.

Rieducare con la sofferenza e il lavoro

Il numero di persone che furono imprigionate o giustiziate durante la dittatura di Enver Hoxha è sconvolgente. Lo scopo ufficiale della detenzione dei prigionieri era la “rieducazione e riabilitazione” attraverso la sofferenza e il lavoro. Prigionieri politici e prigionieri ordinari, era questa la macro classificazione delle prigioni alle quali si affiancavano i campi di lavoro dove i detenuti scontavano la pena eseguendo lavori forzati finalizzati al miglioramento e alla costruzione di opere pubbliche, all’estrazione di minerali o all’agricoltura. La maggior parte delle opere pubbliche furono costruite dai detenuti e dagli internati che lavoravano in condizioni disumane, infatti le morti per maltrattamento, tortura, denutrizione e malattia furono moltissime.

Secondo un rapporto pubblicato nel 2016 dall’Istituto di studi sul crimine e le conseguenze del comunismo (ISCCC) si ritiene che i prigionieri politici in Albania fossero tra i 30.000 e i 34.000, 26.700 uomini e oltre 7000 donne. Secondo la stessa fonte, 5.577 uomini e 450 donne furono condannati a morte e uccisi. I corpi dei prigionieri giustiziati o deceduti in carcere o durante il lavoro forzato, o per malattia, non sono mai stati restituiti ai parenti.

Coloro che non potevano essere imprigionati per mancanza di prove ma comunque sospettati di essere una minaccia per lo stato, venivano internati. La procedura di internamento prevedeva che chiunque fosse accusati di scappatoia o di agitazione e propaganda, veniva punito con la rimozione della casa e veniva trasferito in un centro di internamento per un periodo che poteva anche superare i 20 anni. I centri di internamento erano villaggi da cui gli internati non potevano andarsene e ogni giorno dovevano presentarsi presso la polizia per firmare un registro di presenza. Il criterio generale era che i residenti del nord fossero internati nel sud e viceversa, in modo che potessero perdere il contatto con il territorio di origine e con le vecchie amicizie.

Campo di detenzione in Albania, dittatura albania

Il Sigurimi e la perdita di ogni diritto umano

L’organismo preposto alla difesa del potere e del comunismo era il Sigurimi, una sorta di Intelligence si occupava di attaccare gli avversari politici e di scovare i nemici del potere.

Arresti, disumane torture e truci uccisioni avvenivano nel nome di crimini contro lo stato giudicati da un tribunale interno che agiva senza alcun controllo e al di fuori del sistema giudiziario statale.

Protezione delle autorità, protezione dell’economia, controspionaggio, sicurezza militare, investigazione e reclutamento erano le principali aree di azione del Sigurimi che era formato principalmente da volontari e da funzionari reclutati con la forza e le minacce a familiari e parenti.

Quando, negli anni ’80 l’isolamento dell’Albania divenne totale, il Sigurimi si occupò anche di controllare e osservare tutto e tutti per bloccare sul nascere qualsiasi azioni ritenute anche solo lontanamente di propaganda contro il regime. Centinaia furono anche le persone freddate ai confini durante i tentativi di fuga che crescevano di anno in anno.

Casa delle Foglie sede del Sigurimi Dittatura AlbaniaNessun luogo è sicuro

Il Sigurimi poteva essere ovunque, anche tra gli amici, tra i vicini di casa, tra i parenti stessi.

L’efficace ma terribile meccanismo di controllo ed intercettazione messo in atto dal Sigurimi, si avvaleva di tecniche insegnate da istruttori sovietici e di apparecchiature all’avanguardia prodotte in Unione Sovietica o nella Germania dell’Est.

Microspie, microfoni e fotocamere nascoste potevano essere piazzate dappertutto per controllare chiunque. Anche la casa del vicino poteva diventare un punto di intercettazione ai danni di un cittadino sospettato di qualche attività ostile contro lo stato. Stanze di alberghi, uffici pubblici, stazioni di polizia, carceri erano dotate di microfoni.

Tutti controllavano tutti.

Ogni straniero che entrava nel paese era subito considerato un sospettato e pertanto sottoposto a controllo e misure di sorveglianza da parte del Sigurimi per tutta la durata della sua permanenza in Albania. I turisti dovevano seguire delle regole rigide e precise che prevedevano il taglio di capelli e basette e uno stile di abbigliamento adatto all’estetica socialista. Difatti presso le frontiere vi era un barbiere e un negozio di abbigliamento.

L’isolamento, unica possibilità per non tradire gli ideali

Anno dopo anno la politica estera attuata da Enver Hoxha portò il paese all’isolamento estremo. Mentre il mondo stava cambiando e anche i più grandi governi comunisti cedevano a favore di riforme capitalistiche, le scelte politiche di Enver Hoxha diventavano sempre più restrittive fino ad arrivare al totale isolamento dal resto del mondo.

L’iniziale amicizia con la Jugoslavia di Tito cessò praticamente subito lasciando spazio ad un forte legame con l’Unione sovietica che durò fino all’inizio degli anni ’60, quando cioè anche la Russia iniziò a cambiare e ad abbandonare il modello stalinista attuando scelte politiche e sociali diverse.

La Cina di Mao Tse-tung divenne il nuovo e unico stato amico dell’Albania. Due nazioni completamente differenti, lontane geograficamente e culturalmente ma vicine negli ideali e negli obiettivi; all’Albania serviva un alleato potente e alla Cina serviva un appoggio per contrapporsi alla Russia. I rapporti economici e politici andarono alla grande per molti anni, i cinesi erano i grandi amici degli albanesi, diceva la propaganda ma, come detto sopra, il mondo intorno stava cambiando e la morte di Mao, alla fine degli anni ’70, portò anche alla rottura dei rapporti tra i due paesi, incrinati già da qualche anno.

 

Albania, paese dei bunker

Il continuo fermento politico e militare dell’Europa tormentava Hoxha che, a partire dagli anni ’50, iniziò la bunkerizzazione del territorio facendo costruire migliaia e migliaia di bunker antiatomici e trasmise al popolo la convinzione di vivere accerchiati con la possibilità di un costante imminente attacco straniero, che mai arrivò.

I bunker erano e sono tutt’ora dappertutto, se ne contano più di 170.000 costruiti lungo la costa, sulle montagne, nei villaggi, nelle città più grandi, lungo le strade. Per le finanze albanesi la continua costruzione di bunker armati fu un grande dispendio che privava il paese di esigenze più importanti come le strade, le infrastrutture e le abitazioni.

A seconda dell’utilizzo venivano costruiti bunker di dimensioni e con una struttura differente. Quelli di sorveglianza che potevano ospitare uno o due militari, a seconda della dimensione, quelli di controllo e comando più grandi e con un diametro di circa 8 metri e infine i grandi bunker e tunnel costruiti per scopi strategici o per ospitare e proteggere i membri del ministero degli interni e i funzionari del Sigurimi.

A Tirana se ne possono visitare due dei più importanti diventati oggi musei storici rappresentativi del comunismo e della dittatura; Bunk’art 1 locato ai piedi del monte Dajti appena fuori dalla città e Bunk’art 2 situato in centro. Consigliatissimi entrambi.

 

bunk art 2 Tirana dittatura albania

Enver Hoxha, il feroce dittatore dagli irriducibili ideali, morì nel 1985, come un qualsiasi altro uomo. Senza di lui il sistema che aveva creato iniziò ad apparire a tutti per quello che era, una follia che aveva portato il paese ad una situazione disperata.

Ci vollero alcuni anni di transizione prima che si andò a delle nuove, regolari elezioni dove il Partito Comunista perse e si fecero avanti i Democratici di Sali Berisha.

Era il 1992 e stava iniziando l’ennesimo difficile periodo politico, economico e sociale per l’Albania.