Forse è stata la copertina a catturare la mia attenzione, amo l’allegria che trasmettono le coccinelle, fatto sta che alla fiera del libro di Rho ho acquistato questo piccolo ma interessantissimo libro di Elena Pagani: “Dove i bunker diventano coccinelle”, un excursus storico sullo stato dell’Albania dai tempi della dominazione ottomana fino ai giorni nostro. So che detto così più sembrare una cosa molto noiosa, ma vi assicuro che non lo è affatto, poiché la scrittrice è riuscita a trasmettere il fascino dell’appassionata storia albanese in maniera particolarmente coinvolgente e approfondita.
L’ho letto in un paio di giorni e ho ritrovato nelle riflessioni di Elena tanti miei pensieri e sensazioni. Ne sono rimasta così impressionata che ho subito deciso di contattarla per chiederle un’intervista e lei gentilmente ha accettato, quindi, via con le domande!
Elena, “Dove i bunker diventano coccinelle” è il tuo primo libro, cosa ti ha spinta a dedicare il tuo libro d’esordio proprio all’Albania, agli albanesi e alla loro storia?
Dove i bunker diventano coccinelle” nasce dalla mia tesi di laurea specialistica (il titolo era un po’ diverso, “Dall’Impero Ottomano ai giorni nostri alla ricerca dell’identità di un popolo”). Ho dedicato la mia tesi all’Albania perché è un Paese che conosco bene e desideravo approfondire ulteriormente la sua storia e quella del suo popolo. In realtà l’ho usata anche come scusa per potermi recare in Albania (e da mio marito che dal 2008 ci lavora) più frequentemente. Subito dopo la laurea ho pensato di inviare la mia tesi, con qualche modifica, alla casa editrice Besa perché mi sono resa conto della fatica che ho fatto a trovare libri in lingua italiana che descrivessero la storia dell’Albania in maniera esaustiva, ma senza approfondire troppo alcuni periodi storici. Desideravo pubblicare un libro in grado di suscitare l’interesse degli italiani che per ragioni lavorative o turistiche decidono di recarsi nel Paese delle Aquile.
Quanto più si conosce la storia, la cultura e la popolazione albanese, tanto più ci si accorge di quanto sia stretto e radicato il legame con la nostra nazione, rafforzato anche da fatti storici avvenuti soprattutto nel secolo scorso. Qual è il tuo pensiero a riguardo?
Onestamente prima di conoscere Marjan, mio marito, e di iniziare a frequentare il suo paese, sapevo poco dell’Albania, degli albanesi e soprattutto di quanto le storie italiana e albanese fossero intrecciate. Approfondendo e vivendo la realtà di questo popolo mi sono accorta che noi italiani sappiamo pochissimo di un Paese non solo vicino geograficamente, ma anche storicamente, culturalmente e socialmente. Nel libro tengo sempre a marcare il legame con l’Italia e gli italiani perché ritengo sia un aspetto importante. Nel terzo capitolo parlo di come l’Italia sostenne l’indipendenza dell’Albania e del periodo successivo quando, trasformatasi ormai in una sorta di colonia economica del nostro Paese, Mussolini decise di invaderla. Mi pare assurdo che a scuola non si studino certe cose relative alla storia albanese e agli intrecci con la nostra. Persino durante il periodo di dittatura gli albanesi sono rimasti legati all’Italia grazie a radio e televisione. Il mio pensiero è che dovrebbe esserci una maggiore informazione anche a livello scolastico sull’Albania e sul suo popolo. Soprattutto se si pensa al fatto che oggi l’Italia è il principale partner economico del Paese e che un numero sempre maggiore di italiani si recano in Albania per investire, lavorare, studiare…
Nel tuo libro hai affermato di recarti in Albania diverse volte durante l’anno, quali sono le tue zone preferite e quelle che consigli di visitare?
Ho visto molto dell’Albania. Il nord con le sue montagne, il lago di Scutari, la costa adriatica, quella ionica, le città patrimonio Unesco Butrinti e Agirocastro e ovviamente Tirana. Considero la capitale albanese come la mia seconda città, quindi ovviamente è il primo posto che consiglio di vedere. Tirana è davvero il cuore pulsante dell’Albania: cosmopolita, una capitale balcanica sui generis dove si uniscono diversi stili architettonici: gli edifici governativi di epoca fascista, i palazzi costruiti durante la dittatura di Enver Hoxha, purtroppo gli ecomostri costruititi agli inizi del 2000 e infine i nuovi edifici che strizzano l’occhio a città come Milano e New York. Per chi ama il mare invece consiglio la costa ionica: i villaggi di Dhermi, Orikum, Jale, Himara, offrono spiagge meravigliose. Bellissimo anche il lago di Pogradec, al confine con la Macedonia dove si puó assaggiare il Koran, un pesce che vive solo nelle acque di questo lago balneabile. Non saprei cosa scegliere. L’Albania offre davvero molto e accontenta tutti: gli amanti della montagna, del mare, della movida. Inoltre si mangia benissimo ovunque e la gente è gentile e ospitale. Un altro aspetto positivo è il fatto che l’italiano è capito e parlato da una larga fetta della popolazione albanese, quasi fosse una seconda lingua.
Purtroppo, nonostante il forte legame che ci unisce, in Italia c’è ancora molto pregiudizio nei confronti dell’Albania e del suo popolo, quali sono secondo te i passi da compiere per rompere queste barriere dovute principalmente alla disinformazione?
Esatto la disinformazione o l’informazione errata è ciò che permette la diffusione del pregiudizio. Pensiamo al fatto che, ancora recentemente, al telegiornale danno notizie relative ad albanesi che hanno rubato o fatto del male e se poi si scopre che in realtà si trattava di italiani nessuno chiede scusa per aver diffuso una notizia errata che va a colpire un’intera comunità. Intendiamoci io sono sempre convinta che il pregiudizio non sia mai figlio del nulla, ma ho personalmente conosciuto il popolo albanese e posso dire che mi sento molto più sicura in Albania che in Italia. Non sto esagerando. Anzitutto là esiste la certezza della pena, vi sono leggi scritte e non scritte che garantiscono l’efficacia delle punizioni, qualora qualcuno si dimostrasse violento (soprattutto a tutela di donne e bambini). Il popolo albanese è ospitale, gentile, cordiale, onesto, ha dei valori sacri e inviolabili. I delinquenti ovviamente esistono ovunque, ma fare di un’erba un fascio è un errore enorme. Non si possono giudicare gli albanesi senza essere al corrente della loro storia, senza conoscerli. Alcuni pregiudizi poi possono rimanere: indubbiamente la società albanese è ancora molto maschilista, esistono regole sui rapporti sociali che noi non capiamo.
L’Albania sta indubbiamente vivendo un periodo di forte crescita nel panorama europeo, saranno anche loro, come noi, risucchiati dal capitalismo e dal commercio di massa con il rischio di perdere parte della loro identità, o il loro forte albanesimo di cui parli nel libro, li preserverà dai rischi della globalizzazione?
Mi trovo un po’in difficoltà a rispondere a questa domanda, perché purtroppo i giovani albanesi sono, come noi, inglobati dalla tecnologia, dai social, dall’importanza data all’immagine, da rimanere indifferenti di fronte ai problemi sociali e politici. Esistono, soprattutto a Tirana, molti giovani i cui genitori hanno avuto successo e hanno una vita fatta di privilegi soprattutto economici che non si esimono dall’esibire. Questo è uno dei paradossi che descrivo nell’ultimo capitolo del libro: “Albania 2.0 il Paese dei paradossi.” Povertà e ricchezza si incontrano e scontrano, come tradizione e modernità. Il problema è che l’Albania ha già vissuto il fenomeno soprannominato casino-capitalism a seguito della transizione democratica. Un fenomeno incontrollato che ha modificato l’aspetto di molte città che si sono trovate invase da ecomostri, edifici enormi e senza senso, frutto del boom edilizio incontrollato. Oggi mi auguro ci sia una controtendenza.
Da pochissimi mesi sei mamma di un bimbo italo-albanese che avrà la possibilità di crescere in una fusione di due culture vicine ma comunque differenti, quale sarà secondo te l’arricchimento personale che ne trarrà?
Un arricchimento enorme! Essere figlio di genitori con cittadinanze diverse, esperienze di vita diverse è sicuramente una fortuna perché si ha la possibilità di avere una doppia visione. Vorrei che mio figlio conoscesse parimenti la storia italiana e albanese, le due lingue, le due culture. Già il bilinguismo sarà una grande ricchezza per lui. Io stessa riconosco l’arricchimento che ho avuto nel conoscere in maniera cosí approfondita un altro Stato. La diversità può essere una grande ricchezza se esiste il rispetto. Solo in questo modo puó esistere l’integrazione, ammettendo che ci sono differenze sostanziali tra il Paese di provenienza e quello in cui si sceglie di vivere, apprezzando e rispettando entrambi. Non capisco gli albanesi che una volta in Italia rinnegano la loro storia, il loro Paese. Forse lo fanno per questioni sociali, ma io non rinnegherei mai il mio essere italiana, come mio marito non ha mai nascosto il suo essere albanese ed è davvero uno dei cittadini stranieri più integrati che io conosca, parla italiano perfettamente e persino il dialetto bergamasco. Nostro figlio potrà scegliere se studiare, lavorare, vivere in Italia, Albania o qualsiasi altro posto lui desideri, ma saprà sempre di avere radici italiane e albanesi che non dovrà mai rinnegare!